Vini pre-fillossera e perché sceglierli

Vini pre-fillossera e perché sceglierli

 

Durante la Rivoluzione Industriale, con l’aumento della popolazione mondiale e con l’intensificarsi dei trasporti, soprattutto via mare, cominciarono le prime attività di esportazione e importazione di vari prodotti agroalimentari (e non solo), specialmente dal Nuovo Mondo.

Leggenda narra che una nobil donna europea vide una pianta di vite americana che piacevolmente adornava l’esterno di una casa padronale di una piantagione nel sud degli Stati Uniti. Se ne innamorò e la volle a tutti i costi nella sua casa di campagna della Provenza francese.

Non sappiamo realmente quale sia stato il motivo che abbia spinto l’America ad esportare in Europa la vite americana, sta di fatto che con essa, approdò anche la Fillossera, un insetto che colpisce l’apparato radicale della vite europea e ne determina la morte nel giro di due-tre anni.

La Fillossera non solo devastò la maggior parte delle vigne in Europa, ma determinò un cambiamento radicale in tutta la produzione di vino.

Oggi in Italia abbiamo ancora qualche filare pre-fillossera, soprattutto in zone con terreni sabbiosi, questo perché l’insetto non riesce a completare il suo ciclo vitale in questo tipo di terreno.

Scopriamo insieme dunque quali sono i vitigni e le zone che più hanno resistito in Italia a questa calamità, ma prima un po’ di lezione di viticoltura 🤓

Come la Fillossera attacca la vite 

All’epoca, la domanda di barbatelle di vite americana salì alle stelle in Europa dato che, nel Nuovo Mondo, si era potuto constatare che fossero più resistenti a malattie come la peronospora e l‘oidio.

Così vennero importate in Europa e, insieme a loro, viaggiò indisturbata, con un biglietto di prima classe, la Fillossera, che attacca le radici della vite Europea. Cominciò la sua opera di devastazione partendo dalla Francia, nella zona di Bordeaux.

Al principio, i vignaioli italiani beneficiarono della sventura dei colleghi francesi e ci fu subito un’impennata di richiesta di vini italiani. Il buon umore, tuttavia, durò poco: presto, la Fillossera attaccò anche l’Italia, la Spagna e la Germania, distruggendo definitivamente la viticoltura come era stata conosciuta fino ad allora.

Senza perdersi d’animo, i viticoltori cominciarono a studiare i diversi modi per sconfiggere e uccidere questo demonio, adottando misure come l’annegamento, tramite la deviazione dei corsi fluviali, purtroppo senza risultati.

Dopo molti anni si capì che alcune viti americane erano immuni alla fillossera quindi si diffuse presto la tecnica dell’innesto: radici di vitis americana innestate sull’apparato superiore della vitis europea (questo perché non si voleva rinunciare alla qualità superiore che aveva da secoli dimostrato l’uva prodotta in Europa), anche se purtroppo sono andate perdute tantissime varietà autoctone che, con le conoscenze che abbiamo oggi, chissà quali risultati avrebbero dato.

 

Vitigni sopravvissuti alla Fillossera

Se siete curiosi e volete intraprendere un viaggio alla scoperta dei vitigni sopravvissuti alla Fillossera, di seguito vi illustriamo i vini e i produttori che detengono un valore inestimabile, che apparteneva ai nostri avi e che se avete la possibilità e l’occasione di assaggiare, non lasciatevela sfuggire!

 

Barolo Otin Fiorin – Pie’ Franco Cappellano 2017

La prima etichetta di cui vogliamo parlarvi è il Barolo Otin Fiorin a piede franco di Teobaldo Cappellano, vino robusto e dinamico, nato da vecchi vitigni del cru Gabutti.

Ciò che più stravolge di Teobaldo Cappellano è il suo pensiero a riguardo della fillossera. Egli sosteneva che la pratica di innestare su piede americano era cominciata in Europa a partire dal 1850, ovvero prima dell’inizio della devastazione dei vigneti. Dedusse quindi che la vite americana sia forse stata la causa e poi, come succede in altre situazioni, la cura.

Ottenuto da uve Nebbiolo in purezza, la fermentazione non prevede l’aggiunta di lieviti e un affinamento di 18 mesi nelle botti grandi fa in modo che il varietale non venga mai sovrastato dalle complesse note del legno.

 

Blanc de Morgex et de la Salle – Valle d’Aosta DOP – Ermes Pavese

Ho personalmente testato un vino dell’azienda Ermes Pavese, curiosa dei profumi e del gusto del vitigno più alto d’Europa. All’epoca però non sapevo fosse anche un pre-fillossera.

Grazie alla combinazione di un’altitudine che arriva fino a 1200 m e un terreno sabbioso di montagna, la Fillossera non ha trovato un ambiente confortevole e quindi ha proseguito il suo viaggio verso climi più miti.

Il super vitigno, resistente all’attacco, è il Prié de Blanc, di origine probabilmente della Savoia o del Vallese, il cui mosto è caratterizzato da una spiccata acidità che lo rende perfetto sia per l’appassimento, sia per la spumantizzazione. Con il Prié de Blanc è possibile anche produrre gli Ice Wine, vendemmiando le uve a fine dicembre.

 

Rossese Dolceacqua DOC “Beragna“ dell’Azienda Agricola Ka Mancine

Arrivati quasi al confine con la Francia, in provincia di Imperia, troviamo l’azienda Ka Mancine. Caratterizzata da un passato secolare, conta 3 ettari tutti terrazzati (scopri cos’è la viticoltura eroica), allevamento ad alberello, con una produzione totale di 20.000 bottiglie, vinificando senza metter troppo mano in cantina.

Il suo vino pre-fillossera si chiama Rossese Dolceacqua DOC Beragna, cru aziendale, prodotto di piante che hanno più di 100 anni, su di un terreno calcareo-marnoso, con presenza di scisti (rocce metamorfiche che tendono a sfaldarsi), esposto a nord-est. L’esposizione aiuta molto in un periodo come questo, dove il clima non rappresenta più qualcosa di certo e sicuro e, in assenza di legno, il prodotto finale mira più a finezza ed eleganza, incontrando maggiormente il gusto dei consumatori odierni.

 

Vigna Le Nicchie – Tempranillo Prephylloxera – Pietro Beconcini Agricola

Come si può dedurre dal nome del vitigno, l’origine è ispanica (scopri di più sull’uva Tempranillo) ma l’azienda agricola Pietro Beconcini ne ha trovati diversi filari a San Miniato (PI).

Secoli fa, numerosi erano i pellegrini che partivano da tutta Europa per giungere a Roma e, lungo la strada, lasciavano il loro segno, spesso una pianta di vite. Ancora una volta ritroviamo un terreno con una grande presenza di scisti, che costituiscono le buone fondamenta di un terreno a prevalenza argilloso.

Questa bottiglia nasce da numerosi studi e ricerche per capire quale fosse il metodo migliore per valorizzare quest’uva e Pietro Beconcini (se volete il mio umile parere) ha raggiunto la perfezione.

Una vendemmia prematura, un appassimento delle uve, una fermentazione più lunga, una macerazione giusta e dovuta, un mix di barrique tra rovere francese e americana, più tanta passione e curiosità, senza mai smettere di migliorarsi. Infine il tempo: quattro anni in bottiglia (considerando i due anni precedenti in botte) sono necessari e voluti prima della vendita. Riflessi blu e violacei (tipici dell’uva), denso, note cremose tipiche della rovere, tannini fini, eleganti e setosi, un vino che si fa ricordare.

 

Etna Rosso Cosentino – Massimo Lentsch

Sapete qual è un altro luogo dove la Fillossera non ha potere? Alle pendici di un vulcano, più precisamente di “A’ Muntagna” siciliana.

Vigna Cosentino è il vino ricavato da viti che hanno fino a 250 anni d’età, disposte su terrazze arginate da muretti a secco di pietra lavica. Con un’altitudine di 750 m, immerso nel cuore della Contrada Feudo di Mezzo, zona riconosciuta per la produzione dei vini più pregiati dell’Etna.

Risultato di uve 100% Nerello Mascalese, il Cosentino di Massimo Lentsch matura in legno di rovere per 15 mesi, il che gli dona rotondità, senza però sovrastare la sapidità e mineralità tipica della viticoltura di “A Muntagna”.

 

Perché dovresti bere vini pre-Fillossera?

La vera domanda è: perché no? 

Le viti “franche di piede” sopravvissute alla Fillossera (per ragioni certe o meno) sono i vini dei nostri antenati, che coltivavano l’uva migliore del mondo e per volere della natura stessa sono andati perduti per sempre.

Quei pochi esemplari rimasti e le cantine che sono in grado di valorizzarne il potenziale vanno premiati e, soprattutto per gli wine lovers e wine experts, è un allenamento per capire dove affondano le radici più profonde della viticoltura europea.

Quando si apre una bottiglia, infatti, si apre le porte anche alla Storia, alle conoscenze e alla fatica che ci sono dietro ad una lavorazione così importante.

Oggi noi vi abbiamo consigliato qualche bottiglia, ma il consiglio migliore è quello di infilare le scarpe, quelle con la suola giusta, e andare alla scoperta del vostro passato e di come siete giunti qui oggi.

Poi, aprite quella bottiglia e assaporate il gusto di un tempo ormai perduto, ma che sulle sue rovine hanno realizzato dei veri e propri capolavori.

 

 

Vini pre-fillosseri e perché sceglierli