La storia del vino a Parma
La storia del vino a Parma
Parma è la città gastronomica d’eccellenza nel panorama italiano.
Si sa, Parma è conosciuta per il Prosciutto di Parma e il Parmigiano Reggiano, ma si contraddistingue soprattutto per le numerose aziende alimentari (Barilla, Mutti, Parmalat, Smeg per citare le più famose) che la rendono, nel suo settore, la più competitiva al mondo.
Non a caso, la fiera CIBUS si tiene alle Fiere di Parma.
E il vino?
Se per il cibo è città leader del patrimonio gastronomico italiano, sul vino, oggi, non riscontra grande successo.
Conosciuta dagli appassionati di vino per il suo Lambrusco Maestri e per la Malvasia, sono vini leggeri, beverini, poco impegnativi e, per quanto riguarda il primo, più per l’export che per il consumo interno.
Purtroppo, negli stessi locali e ristoranti del parmense, spesso sono inseriti nella carta dei vini i nomi nazionali più blasonati come Chianti Classico, Amarone Valpolicella, Barolo DOCG ecc.
Questo approccio da parte dei ristoratori verso l’enologia parmense fa riflettere.
Il cittadino di Parma stesso, e di conseguenza il turista, è portato a scegliere queste etichette perché in carta non vengono assolutamente valorizzati i vini del territorio.
E se vengono valorizzati, sono sempre i soliti mainstream.
Eppure, di cantine a Parma, ce ne sono eccome.
- Monte delle Vigne, la più famosa
- Amadei Vini
- La Cantina del Borgo a Torrechiara
- Ceci, la più commerciale, impiegata maggiormente nell’export
- Canistracci
- Oinoe La città del vino
- Lamoretti
- Cerdelli
- Camillo Donati
- Dall’Asta 1910
- Palazzo
- Carra di Casatico
- Crocizia
- La Bandina
- Antonio Aldini
e, ovviamente noi, Cantina Il Poggio.
E la storia del vino di Parma non inizia di certo con il Lambrusco degli anni ’60.
In questo articolo voglio portarti con me ad esplorare la storia del vino di Parma e del tipo di evoluzione che ha avuto nei secoli.
Ma prima, facciamo le dovute presentazioni.
Io sono Alessandra, wine hospitality manager. Mi occupo anche di redigere gli articoli blog di Cantina Il Poggio, una piccola realtà vitivinicola situata nel punto più alto di Cangelasio, frazione di Salsomaggiore Terme.
Faccio parte del team marketing e comunicazione e puoi conoscermi meglio guardando questo video sulla nostra pagina Instagram. Pian pianino tutto lo staff della Cantina si sta presentando e parlando un po’ di sè, per avere un rapporto più diretto con la nostra community 💓
Nel blog, oltre a parlare di vino, ti do idee, spunti e consigli utili per visitare e conoscere le principali attrazioni culturali e enogastronomiche del nostro territorio.
Con questo tipo di contenuto, desidero promuovere questa piccola porzione di territorio emiliano. Mi rivolgo specificatamente all’appassionato di vino, che vuole uscire dagli schemi, assaggiare qualcosa di diverso dalle classiche e blasonate maison italiane.
Quindi, se ti stai chiedendo se a Parma esiste davvero una cultura vitivinicola, continua a leggere che riuscirò a dartene prova 😎
Un po’ di passato, passato
In Piazza Duomo, a Parma, c’è il Battistero, uno degli edifici più iconici della città dove, al suo interno, sono raffigurati i “mesi” antelamici che raccontano e testimoniano le principali attività agricole dei contadini medievali. Qui, troviamo per l’appunto scene che raffigurano la potatura della vite, le botti e scene gioviali durante la vendemmia.
Durante l’epoca rinascimentale, troviamo il manoscritto “De partibus aedium” dove l’autore Francesco Maria Grapaldo nomina le uve piantate nelle colline parmensi. Tra queste spiccano Malvasia, Trebbiano e Vernaccia e, in quel trafiletto, descriveva la sua idea di casa perfetta in cui doveva esserci un vigneto. In città e in provincia, un esempio è il Castello di Torrechiara, ritroviamo dipinti e raffigurazioni di pergolati di uva.
Durante il dominio della famiglia Farnese, il vino parmense è sempre presente a Corte nei ricevimenti, nei pranzi reali e durante le escursioni del Burchiello lungo il fiume Po.
In epoca borbonica, il Primo Ministro Du Tillot si fece promotore di varie migliorie sulla coltivazione e sui metodi di impianto della vite, portando con sè tecnologie più avanzate dalla Francia.
Ma la più importante testimonianza scritta che deteniamo a Parma come prova di viticoltura è il “Trattato delle viti e sua coltivazione“. E’ facilmente accessibile presso l’Archivio di Stato di Parma, risalente al XVI secolo.
Chi ha davvero iniziato a fare vino a Parma
Dal 1800 in poi, il vino a Parma ha vissuto un momento di forte splendore, grazie ad alcune influenze francesi.
Ma il vero contributo riuscirono a darlo monaci/enologi come Don Ghironi a Sala Baganza, portando il vino parmense a vincere rassegne internazionali di Londra e Parigi.
Una personalità che in quegli anni determinò il successo del vino per cui tutt’oggi Parma è famosa è sicuramente il dott. Luigi Maestri, il quale riuscì a selezionare la varietà di Lambrusco più adatta ai terreni della provincia.
Quando passò Garibaldi
C’è un anneddoto che spesso viene raccontato nei bar di quartiere, da quei giovincelli dei primi del ‘900 che ancora qualcosina si ricordano.
Ci fu un tempo in cui Giuseppe Garibaldi transitò per Parma, per essere precisi nell’aprile 1861, e trovò ospitalità a Maiatico, nella villa della marchesa Teresa Araldi-Trecchi.
“Non c’è aroma più delizioso, non c’è nettare più allettante della Malvasia di Maiatico”, scriverà Garibaldi.
Si innamorò talmente tanto di questo vino che decise di portare qualche barbatella sull’isola di Caprera, dove aveva la residenza. Si sono ritrovate lettere di Garibaldi che all’epoca informò la marchesa di quanto le viti fossero produttive e “immuni da qualunque malattia”.
Giuseppe Verdi, un grande classico della bassa parmense
Maestro Verdi non poteva di certo non produrre il proprio vino. Anzi, era piuttosto pignolo a riguardo, tanto da torturare quel povero del suo fattore a non perdere mai di vista le sue uve.
Pretendeva che il vino che lui stesso beveva dovesse ricavarlo dalla prima torchiatura (il mosto fiore), perché considerato più nobile e più pregiato.
Si presume che la sua uva fosse la Fortanina, oggi uva Fortana che ancora viene coltivata nella “bassa” e che ristoranti come l’Antica Corte Pallavicina hanno in proposta nella loro carta dei vini.
La fillossera, il parassita che devastò la viticoltura europea e quella parmense
Fino ad un certo punto della Storia, il vino di Parma aveva goduto di un’ottima fama, anche grazie a forti ambassadors, come Giuseppe Garibaldi, il Maestro Verdi e Maria Luigia, moglie di Napoleone Bonaparte. Purtroppo però, verso la metà del 1800, si cominciò a diffondere dapprima l’oidio (un fungo parassita) e la fillossera (un insetto), quest’ultima trasportata via mare dall’America in Europa.
La fillossera è silenziosa e scaltra; attacca le radici delle viti, quindi all’inizio nessuno si accorse di nulla. Nel giro di 2-3 anni, la viticoltura europa era compromessa, partendo dalla Francia, Germania, fino a scendere giù lunga la nostra penisola, fino a Parma.
I contadini che, sia nelle valli, sia nelle zone più collinari, avevano basato la loro vita sulla vite, si videro andare tutto in frantumi davanti ai loro occhi e quest’epidemia andò avanti per molti anni.
Le uniche zone che si salvarono furono quelle caratterizzate da climi estremi, come la montagna, i terreni vulcanici e i terreni sabbiosi, dove la fillossera non era né in grando di arrivare, né di completare il proprio ciclo.
Tuttavia, oramai i danni erano fatti e ci vollero decenni per riuscire a capire quale potesse essere una probabile soluzione. Ironia della sorte, ques’ultima venne proprio dalla causa.
Le radici della vite americana erano più forti e resistenti agli attacchi della fillossera. Così, personaggi di grande rilievo dell’epoca come Antonio Bizzozzero, convinsero e insegnarono ai contadini come innestare la vite americana sull’apparato superiore della vite europea, senza comprometterne il valore e l’aspetto qualitativo.
Dalla viticoltura al grano
Durante il periodo fascista, Mussolini ordinò di piantare grano ovunque, tramite la campagna “la battaglia del grano“. Il grano era più redditizio, cresceva sia in pianura, sia in collina ed era essenziale per il nutrimento.
La vite, no.
Di conseguenza, a seguito poi della Seconda Guerra Mondiale e con l’avvento del boom economico, il territorio vitivinicolo parmense si trasforma in campi di grano, di pomodori e pascoli per la produzione di Prosciutto e Parmigiano Reggiano.
Oggi
Tuttavia, qualche contadino con ancora un pò di speranza, si lasciò convincere da Bizzozero e innestò la vite europea sulle radici di quella americana. Grazie a questi sognatori, oggi la provincia di Parma ha la possibilità di rilanciarsi sul settore vitivinicolo, sorretta dal Consorzio dei Vini dei Colli di Parma, fondato nel 1977, il quale quotidianamente cerca di promuovere il proprio territorio, di cui anche noi facciamo parte.